Kirill, il populismo e la maionese impazzita della sinistra al maraschino
Credo che l’idea di imporre le sanzioni al Patriarca Kirill si sia formata – misteriosamente – in una persona il cui cervello si era esiliato, offeso dall’inutilizzo e dai maltrattamenti.
Indipendentemente dalla sua persona, che può essere o non essere degna della carica che ricopre, Kirill è per milioni di credenti il rappresentante di una tradizione religiosa che ha superato i duemila anni e il capo di una comunità, che occupa quasi interamente l’ambito del cristianesimo ortodosso e trova in lui un riferimento, un sostegno, a volte un conforto, o il senso della vita e soprattutto della morte.
In alternativa al cervello in esilio bisogna immaginare rozzi settari, epigoni dei peggiori aspetti del razionalismo illuminista, che non si accontentano di non credere a una religione, ma pretendono che nessun altro vi creda: gente che arma una reprimenda a reti unificate se un ragazzino idiota dà del “recchione” al compagno di banco, si permette di calpestare il sentimento religioso di interi popoli, peraltro senza prevedere l’ovvia reazione, che certamente non andrebbe nel senso di una pacificazione nella guerra ucraina.
Questi settari, seguaci di una dea ragione imbalsamata e conservata peggio della salma di Lenin sulla Piazza Rossa, hanno la loro chiesa principale nei democratici statunitensi, e succursali e accoliti in Europa. Non vogliono rassegnarsi a un mondo multipolare, insistono a credere di rappresentare, nell’evoluzione sociale e nell’inarrestabile marcia della locomotiva del Progresso, la punta avanzata della civiltà, e ogni mattina si preparano alla giornata di lavoro contemplando la simbologia massonica del biglietto da un dollaro e identificandosi con il triangolino al vertice della piramide: da qui controllano che il mondo sia in ordine democratico, e mandano i bombardieri dove l’ordine democratico non c’è. Poi arrotolano il biglietto e si tirano una riga, che probabilmente fa più effetto.
Il problema è che vogliono di tutelare una democrazia, dove il popolo ratifica ciò che è stato deciso per lui da un’élite culturale, ancorché presunta e troglodita. Per questo non hanno rispetto delle credenze irrazionali (nella fattispecie religiose) o delle culture popolari o della pretesa con cui il volgo ignorante vuole pensare con la sua testa e, a volte, vuole persino essere socialista, come in Jugoslavia o in Siria, o prima ancora in Cile o a Cuba. Questi santoni della Chiesa Laica del Progresso e dell’Individualismo, infatti, non amano il popolo, non ne sopportano la puzza né i modi volgari, se ne distanziano: hanno al proprio servizio schiere di influencer nei mezzi di informazione e di ininfluencer nei partiti politici e nei governi per assegnare patenti di legittimità o illegittimità – un greenpass democratico da riempire coi bollini di buona condotta, come la tessera della spesa al despar – ed eccoli oggi tutti schierati contro Orban, il POPULISTA, che si oppone alle sanzioni a Kirill.
A me non piace Orban, ma vorrei fare chiarezza su questo termine “populista” perché – Nanni Moretti docebat – le parole sono importanti. Lula, Chavez, Castro, Peron… sono stati definiti populisti… e questo vuol dire che populismo NON è sinonimo di demagogia. Il demagogo va al potere facendo al popolo promesse che NON mantiene né prova a farlo (cosa che rende il termine “demagogo” più affine all’area del pd o dei 5stelle). Invece Orban, come Lula, come Chavez, come Castro, come Peron, ha preso i voti con un programma di governo e poi lo ha applicato, tant’è che al termine della legislatura ha di nuovo vinto elezioni regolari. Allora possiamo dire che questi personaggi, chi di destra, chi di sinistra, hanno ottenuto un consenso popolare al loro programma e si sono dati da fare per realizzarlo… sicché quale sarebbe la differenza tra “democratico” e “populista”? Se Orban vince le elezioni democraticamente, mi dispiace perché io sono di sinistra e non lo voterei, mentre se vince Chavez mi fa piacere e lo voterei volentieri – ma in entrambi i casi il risultato è democratico e non è lecito delegittimare un avversario che vince rispettando le regole del gioco.
Invece i nostri settari della Religione del Progresso Indefinito Ma Rivelato a Sant’Eugenio Fondatore non la pensano così e se Orban esprime un parere coerente con le idee che ha sempre espresso, allora bisogna rimuoverlo, bisogna procedere senza di lui, con elasticità mentale, perché non si può essere eccessivamente democratici: la sinistra settaria prescinde dal consenso, se la gente non glielo dà (ecco perché non è populista). E questa sinistra applaude, applaude sempre: hanno le bandiere arcobaleno della pace, ma le tirano fuori solo per le guerre benedette dai santuari della setta; rispettano la libertà e la dignità della persona se vuole decidere ogni mattina la sua appartenenza di genere, almeno fino a ora di pranzo, ma rinunciano a farlo se un’altra persona vole vivere coerentemente la sua religione, qualunque essa sia (o adottare comportamenti che il Manuale del democratico liberal ritiene scorretti); propongono una legge per garantire, come fosse una scelta civile, l’utero in affitto, ma guai a parlare di consentire al musulmano che lavora la possibilità di dieci minuti di preghiera nelle ore canoniche; innalzano trincee contro la grammatica sessista e discriminatoria invece di occuparsi seriamente degli incidenti mortali sul lavoro o dei femminicidi. Imbrattano i monumenti delle persone cattive e nascondono i libri eretici.
In fondo si tratta di fare tutte queste belle azioni che soddisfano la coscienza e poi andare a salutare il Padrone della Situazione portando, per buona educazione, una bottiglia di maraschino e il panforte: poi sarà lui, il Padrone della Situazione, a dare loro il governo del Paese anche se hanno perso le elezioni, come succede regolarmente al pd, aggiungendo per generosità e naturale bontà d’animo anche un primo ministro, non eletto, dal programma sconosciuto, venuto da non si sa dove, ma di cui Sant’Eugenio Fondatore, benedicendolo, ci informerà che fin da piccolo giocava coi massoncini della lego.
g.f.