Il nazismo nuovo della “cancel culture”
Per me che ho passato la vita nell’Università, leggere che esistono Atenei impegnati nella cancel culture provoca sofferenza. Cancellare il passato, eliminarlo dalla memoria, proibirne la conoscenza creando un nuovo enfer che non viene portato a conoscenza degli interessati, equivale al rogo di libri fatto da inquisitori e poi dai nazisti. Qui, però, siamo in presenza di un nazismo più subdolo, rinnovato, rivestito di ragioni e buonismo, che si preoccupa del nostro bene e, se ci amputa la conoscenza, lo fa perché sta lavorando per noi: pensa e giudica al nostro posto.
Si tratta di un nazismo difficile da smascherare, ma se ci si sofferma ad analizzarlo si scopre il nucleo maligno che, come un cancro, è tornato ad avvelenare la nostra cultura: è la presunzione di possedere una verità umana, certa e indiscutibile, verificata dalla scienza e dal sapere, posseduta da un’élite che rappresenta la punta avanzata nel cammino del progresso – élite che, dunque, per il nostro bene, ci guida e ci premia o ci punisce, ci dà o ci toglie spazio vitale: un nazismo filantropico, di diretta derivazione illuminista, propagandato come un dogma dalla setta legata al partito democratico statunitense; un nazismo che ha sostituito il nichilismo degli Anni Trenta con i buoni e sani principi del politicamente corretto, con cui vuole eliminare ogni differenziazione, ogni atto culturale che riveli personalità, ogni identità – da quella nazionale a quella sessuale, compresa l’identità omosessuale diluita, come le altre, in una continua instabilità, in un fluire senza direzione, in un post-moderno che serve solo a occultare i valori forti della modernità, che erano la giustizia sociale, il primato del lavoro (non del capitale) la democrazia partecipativa che si muove nelle piazze e nei partiti, la nazione intesa come costruzione comune del benessere collettivo attraverso la giustizia distributiva, e mille altre cose che hanno caratterizzato la forza della modernità, compresa la conservazione e il recupero delle memorie.
Le memorie, al plurale, perché il passato si interpreta e si discute e si insegna criticamente – per liberarsene, anche, per produrre consapevolezza e spirito critico, senza il quale la democrazia si riduce allo spettacolo indegno che vediamo ogni giorno nell’incivile occidente.
Questo avrebbe dovuto fare l’Accademia. O almeno, io l’ho sempre fatto.