Pier Francesco Zarcone: L’Ucraina: nazione “giovanissima”, se è nazione
Pier Francesco Zarcone
L’UCRAINA: “NAZIONE” GIOVANISSIMA, SE È NAZIONE
Tre Russie, tre popoli o uno solo?
Secondo l’ideologia ufficiale russa, a prescindere dai regimi politici, esistono tre Russie: la Piccola (Malorossija) ovvero Ucraina, la Bianca (Bielarus’) ovvero Bielorussia, la Grande Russia (Velíkaya Rossija) ovvero la Moscova. Tre paesi e un solo popolo? Come spesso accade, la risposta dipende – contemporaneamente – dal punto di vista dell’interpellato e dal momento storico in cui si trova. Poiché tutto dipende da come uno “si sente” e quando, le argomentazioni a corredo della risposta variano in base a questo dato soggettivo storicamente determinato. Per chiarezza facciamo un esempio.
Un indipendentista sardo o siciliano, nato a metà del secolo scorso, fino al termine delle scuole medie avrebbe detto “siamo tutti Italiani, viva l’Italia”, essendo “nutrito” dell’insegnamento dell’epoca ancora fascistoide e ridicolmente patriottardo. Studiando meglio la storia d’Italia, invece, oggi direbbe che i “continentali” in linea di massima sono altra cosa, per non dire “stranieri assoluti”, ma anche loro sono colonia: Sardegna e Sicilia colonie dell’Italia (poteva andar peggio ma anche meglio), e l’Italia lo è dell’Unione Europea la quale a sua volta lo è degli USA. Direbbe pure che i dialetti d’Italia non esistono ma sono lingue a sé stanti, declassate dal sanguinario invasore “buzzurro” perché aveva voluto fare l’Italia prima degli Italiani (peraltro inesistenti, perché gli Italici si erano già formati in modo differenziato nel corso di secoli) e linguisticamente bisognava “metterci una pezza” per giustificare l’imposizione di una lingua “unificante” basata sulla parlata dei Fiorentini. Quindi si imponeva un’acconcia mistificazione linguistica. E se poi ci sono tanti Italici che ancora si sentono Italiani, alla fine sono fatti loro!
In uno Stato la cui popolazione non è propriamente omogenea – storicamente, linguisticamente e culturalmente – finché prevale il sentimento unionista non ci sono soverchi problemi, ma quando esso perde di forza allora si hanno i casi della Jugoslavia e della Cecoslovacchia; la differenza dei rispettivi esiti sta nelle specificità storiche e culturali dei rispettivi paesi. Riguardo all’Ucraina l’attuale pensiero dominante (o addirittura monopolista) impone che si ometta trattarsi di un paese fortemente diviso da fratture religiose, linguistiche e politiche. Purtroppo la realtà ucraina è proprio questa. Non dirlo significa abdicare alla propria dignità di essere umano pensante ed entrare nella vasta schiera dei servi volontari, di cui parlò nel sec. XVI Étienne de la Boétie (1530-1563)[1].
L’attuale Stato ucraino non è riuscito a rispettare il pluralismo interno e tutto sommato nemmeno ci ha provato: le richieste di assetto federale con autonomia delle regioni russofone non sono state accolte, come pure l’adozione di due lingue ufficiali (ucraino e russo) fino all’arrogante divieto di usare il russo nelle questioni amministrative e commerciali anche nelle regioni a maggioranza etnica o linguistica russa. Per conseguenza le sue diversità non vengono utilizzate dall’attuale regime come occasione di arricchimento, bensì di chiusura. A quel punto, la diversità etnica diventa problematica se talune forze politiche riescono ad avvalersene per operazioni divisorie nel corpo sociale, e nel caso ucraino taluni paesi occidentali hanno fatto questo “gioco”, favorendo i nazionalismi fino allo scontro sanguinoso.
Non è altresì secondario che i processi unificanti richiedano governi ed amministrazioni diversi dalle sentine di corruzione, realtà quest’ultima di cui governi ed amministrazione dell’Ucraina sono non fulgidi esempi.
L’attuale conflitto ha consentito al governo ucraino di “unificare” forzatamente e formalmente il paese ma senza unirlo, anzi dividendolo sostanzialmente ancor di più: ben 11 partiti politici presenti in Parlamento sono stati banditi in quanto assertivamente filorussi; 5 deputati regolarmente eletti hanno perso la cittadinanza sempre per asserite attività filorusse; numerosi media indipendenti sono stati chiusi con le medesime accuse; i libri russi sono stati tolti dalle biblioteche e mandati al macero, la musica russa scritta dopo il 1991 non può più essere trasmessa alla radio ed alla tv.
Tutto questo furore dittatoriale – che spesso sfonda le barriere della ridicolaggine – sortisce un effetto contrario per osservatori o non venduti alla propaganda dominante dalle nostre parti oppure da essa non rimbecilliti: cioè finisce col rivelare la portata non indifferente delle simpatie filo-russe in vari settori della società ucraina; come pure la russofobia di altri settori.
Inoltre, con la creazione autoritativa di una propria Chiesa ortodossa nazionale e la sua imposizione, anche la libertà religiosa è andata a farsi benedire perché gli Ortodossi ucraini sono ora liberi di praticare il loro culto solo nelle chiese dell’entità scismatica approvata dal governo. Ed è significativo che la nuova versione ucro-nazi-governativa di Chiesa ortodossa si sia affrettata a sostituire la data tradizionale del Natale ortodosso (7 gennaio del calendario gregoriano) con quella in uso in Occidente.
In definitiva, se ad una parte della popolazione si proibiscono l’uso della lingua madre e la frequenza nella Chiesa di proprio gradimento, ciò significa che questa parte di popolo viene resa straniera nel paese dove è nata. Si tratta di un “interessante e creativo” modo di rafforzare la nazione ucraina?
Ergo, la situazione attuale è che molti Russi etnici e molti russofoni non si identificano affatto col nazionalismo ucraino, e del resto non l’hanno mai fatto; in più sono visti come nemici, i loro partiti politici messi fuori legge, i loro media e le loro chiese sono stati chiusi. Ma “naturalmente” l’Ucraina combatte per i valori occidentali contro i cattivissimi Russi! Se questo è vero, e se l’Ucraina è una nazione, forse sarebbe il caso di metter mano a dizionari e ideari politici per le adeguate correzioni, altrimenti le stesse parole finiscono per dire cose opposte. Oppure è proprio quello che si vuole.
Anteriormente al 1991 un’Ucraina indipendente non è mai esistita, ed in più alla base della sua disunione va posta la parte occidentale (Galizia), a lungo inserita nell’Impero Austro-Ungarico, la più rivolta verso l’Europa e dove abbondano i greco-cattolici detti Uniati (travestiti da Ortodossi); la sua parte centrale fu storicamente dominata da varie nazioni e forse si tratta della zona più “ucraina”, ed il Sud-Est è a stragrande maggioranza di etnia russa o russofona, per la quale la patria non è certo l’Ucraina ma la Russia.
Lo scrittore Nicolai Lilin (n. 1980) di recente osservò argutamente che in Ucraina – per quanto non si tratti di un paese a liberal-democrazia compiuta – non c’è mai stato un Presidente o un leader politico paragonabile a quel che è Vladimir Vladimirovič Putin (n. 1952) per la Russia. L’Ucraina infatti è un paese ancora dominato da grandi oligarchie, ossia ricche famiglie che riescono a controllare esercito, servizi segreti ed il governo stesso. E ironicamente aggiunse che in Russia gli oligarchi non esistono più da tempo, o perché fatti fuori da Putin (in effetti la cronaca è ricca di notizie su “misteriosi” incidenti, spesso domestici, che ne hanno di molto ridotto il numero) o perché riusciti a fuggire all’estero. Sono rimasti gli ex oligarchi, persone ricche ma senza più le mani in politica (altrimenti rischiano che qualcuno gliele mozzi). Il potere è di Putin che controlla esercito, servizi, struttura politica e così via.
Una lingua a parte rispetto al russo
E torniamo ora alle steppe dell’Europa Orientale, cominciando con un aspetto da molti considerato importante per definire una nazione: la lingua. Che sia importante in assoluto non è detto, a meno di negare l’esistenza di una nazione svizzera sol perché vi esistano Cantoni con lingue diverse. Da notare, per contro, che prima del dissolvimento della Jugoslavia il serbo-croato era inteso come lingua unica, eppure ci si è massacrati (spesso allegramente) pur parlando la stessa lingua con leggerissime differenze.
Nel caso ucraino è pacifico che esso ed il russo provengano dall’antico slavo orientale; si tratta di lingue dotate di notevole affinità ma nel complesso diverse fra di loro, cosicché è tecnicamente sbagliato considerare l’ucraino una variante dialettale del russo. Tutto sommato esiste una parentela che ricorda quella fra castigliano e portoghese: due lingue diverse, simili per certi aspetti ma assai differenti per altri.
Poiché i territori oggi sono denominati Ucraina erano suddivisi fra l’Impero Austro-Ungarico, la Germania e la Russia – e si ricordi il precedente dominio della Confederazione Polacco-Lituana (secc. XVI-XVIII) – fu inevitabile che l’ucraino assumesse prestiti da polacco, ungherese, tedesco ed anche rumeno. Sembra che gli Ucraini possano capire facilmente il russo, ma i Russi abbiano difficoltà a capire l’ucraino. Niente di strano se riprendiamo l’esempio di castigliano e portoghese: infatti per i Portoghesi capire gli Spagnoli è molto più agevole che per gli Spagnoli capire i Portoghesi, soprattutto se questi ultimi parlano “stretto” e veloce (i Brasiliani hanno la stessa difficoltà).
In comune tra russo e ucraino c’è l’alfabeto cirillico di 33 lettere, ma con alcune differenze: il russo ha lettere che invece non sono in uso nell’ucraino che le sostituisce con lettere proprie (l’alfabeto ucraino ha 22 consonanti, mentre l’alfabeto russo ne ha 21); la pronuncia di alcune lettere è leggermente diversa; vi sono parole uguali ma dal significato differente; i nomi dei mesi in russo hanno similitudini con quelli di altre lingue europee occidentali mentre l’ucraino ha mantenuto gli antichi nomi slavi; grammaticalmente la costruzione grammaticale ucraina è più vicina alle lingue europee, mentre la lingua russa ha forme proprie; l’ucraino ha come tempo verbale il piuccheperfetto che il russo non possiede, avendo solo tre forme temporali: presente, passato e futuro; in ucraino, ci sono 3 forme di futuro (2 imperfettive e 1 perfettiva), mentre in russo ce ne sono solo due (imperfettiva e perfettiva); nella declinazione il russo ha sei casi (nominativo, accusativo, preposizionale, genitivo, dativo e strumentale), mentre l’ucraino ne ha sette, i sei del russo più il vocativo; l’ucraino usa sempre la forma coniugata del verbo “essere” mentre in russo al tempo presente viene omessa.
Il cirillico ucraino si legge così come si scrive, ma quello russo no. Il suono della lingua russa è più rigido rispetto all’ucraino, la cui pronuncia e più morbida anche per il maggior numero di consonanti “morbide” rispetto al russo. Lessicalmente l’ucraino è più vicino al polacco, per vocabolario e costruzione delle frasi.
Già nel 1917 la lingua russa e quella ucraina avevano raggiunto l’assetto attuale. Il russo, idioma ufficiale dell’Unione Sovietica, lo fu anche nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Inizialmente si era favorita la c.d. “ucrainizzazione” linguistica, ma dagli anni ’30 in poi l’orientamento mutò: nelle scuole venne introdotto il russo; i giornali e le pubblicazioni in ucraino vennero aboliti; parte degli intellettuali ucrainofoni subirono persecuzioni politiche. Negli anni ’80 la politica linguistica sovietica fu “ammorbidita” e, ovviamente, dopo l’indipendenza nel 1991, lo stato di salute dell’ucraino migliorò.
Ovviamente la favola dei tre popoli che sono uno ha basi solo ideologiche e politiche, da sottoporre a verifica in base ai comportamenti umani ed al modo di considerarli, cioè se conformi o no col presupposto di base: nel secondo caso, se ci sono conflitti, questi rientrano nella categoria delle guerre civili; altrimenti no.
Due popoli apparentemente affini e stanziati nella stessa area geografica possono anche cordialmente detestarsi. Anche qui vale l’esempio Portoghesi/Spagnoli.
Tra i Russi ancora ci sono molti che, altresì a prescindere dalla propaganda governativa, ritengono gli Ucraini appartengano al loro stesso popolo. Lo attesta con astio, per esempio, un post a firma Andrey Rudenko, dal titolo Da qualche parte a Zaporozhye, pubblicato il 9.6.2023 da https://telegram.me/s/sakeritalianotizie:
Onestamente, l’unica cosa frustrante è che nei carri armati tedeschi sedevano russi come noi, solo ricablati per servire l’Occidente… Ma oggi sono il nostro nemico e il nemico non può essere compatito. Dopo la guerra, risolveremo tutti i problemi delle relazioni. Nel frattempo per me, personalmente, questi sono traditori!!
Dall’espressione geografica allo Stato
Fino ad ora si è fatto un discorso solo introduttorio al nostro tema che è se – al di là di pulsioni di gruppo più o meno grandi – una nazione ucraina (di cui si assume l’esistenza innanzi tutto per comodità preliminare) sia esistita o meno prima del sec. XIX.
Quando si parla di storia dell’Ucraina si deve chiarire sempre se ci si riferisce all’area geografica o ad uno Stato omonimo. Non è raro che storici ucraini – tutt’altro che indipendenti – facciano spesso risalire la storia del loro paese addirittura alla fine del sec. X d.C.; un po’ come nelle scuole italiane quando la storia d’Italia (non nell’Italia) partiva dall’epoca preistorica. Ma questa non è scienza storica, è propaganda ideologica di bassa lega, peraltro smentita autorevolmente dall’insospettabile Massimo d’Azeglio (1798-1866) col suo famigerato “l’Italia è fatta, bisogna fare gli Italiani”.
Finché nelle steppe situate fra la Moscovia ed il mondo polacco non ci fu gente che si sentisse ucraina non è il caso di parlare di storia dell’Ucraina. Certamente non si sentiva ucraino Vladimir I Svjatoslavič, il Grande (956-1015), principe di Kiev, che alla fine del sec. X unificò le locali tribù slave pagane portandole sotto il Cristianesimo ortodosso. E nemmeno Bohdan Chmel’nyc’kyj (1596-1657), il capo cosacco che a metà del XVII secolo organizzò la rivolta dei Cosacchi contro il dominio polacco e firmò un accordo con lo Zar russo per portare i territori da lui controllati sotto la giurisdizione della Russia. Ma nemmeno un altro famoso ataman cosacco, Ivan Stepanovič Mazeppa (1639-1709), che all’inizio del sec. XVIII si ribellò allo Zar Pëtr Alekséevič I detto il Grande (1672-1725) e fu poi sconfitto, insieme al re Carlo XII di Svezia (1682-1718), nella battaglia di Poltava (1709). Il grande scrittore Nikolaj Vasil’evič Gogol’-Janovskij (1809-1852), nato in Ucraina è una gloria della letteratura russa. E allora?
Il termine “Ucraina” apparve solo alla fine del sec. XVI secolo quando i regni di Lituania e Polonia si fusero nella Confederazione Polacco-Lituana, dominata dall’aristocrazia polacca ed estesa dal Baltico al Mar Nero. Praticamente il Granducato della Lituania – che nella seconda metà del sec. XIV aveva conquistato buona parte della regione fino alle coste del Mar Nero – successivamente concluse una serie di alleanze con la Polonia fino a confederarvisi nel 1569. Il territorio confederale includeva anche la parte più occidentale dell’attuale Ucraina, cioè la Galizia, che insieme all’area di Leopoli (la Lodomiria) nel 1772 sarebbe passata sotto il controllo dell’Impero austriaco fino al termine della Grande Guerra.
L’Ucraina era “dove c’è il territorio di confine”: u krajna. I suoi abitanti erano chiamati “ruteni”. Quindi il nome Ucraina indicava soltanto un’area periferica che riuniva popolazioni slave, e non certo un’identità nazionale. In questa zona frontaliera, per contrastare le incursioni dei Tartari della Crimea, si costituì nel sec. XIV una peculiare formazione sociale e militare: quella dei Cosacchi (dal turco qazaq’, uomo libero).
La Confederazione Polacco-Lituana era egemonizzata religiosamente dalla Chiesa di Roma, ma nelle steppe la popolazione ortodossa abbondava, per cui a seguito di forti pressioni del clero polacco nel 1569 si formò con l’adesione di alcuni prelati ortodossi una Chiesa greco‑cattolica chiamata dispregiativamente “uniate” dagli Ortodossi: rito liturgico bizantino, ma teologia latina e riconoscimento dell’autorità del Vaticano. Questa Chiesa di Romano-cattolici travestiti si radicò soprattutto nell’attuale Galizia (Ucraina occidentale) in gran parte austriaca dal 1772 al 1918, poi polacca fino al 1939, quindi occupata dalla Germania durante la II Guerra mondiale e poi parte dell’Unione Sovietica dal 1945 al 1991.
Nel sec. XVII si ebbe la rivolta cosacca di Khmelnytsky, inizialmente diretta contro i nobili e proprietari terrieri polacchi ma ben presto diventata anche guerra di religione degli Ortodossi contro i Romano-cattolici e gli Ebrei. Khmelnitsky creò uno Stato autonomo cosacco nella regione ucraina, ma dovette chiedere protezione allo Zar di Mosca per non essere sconfitto dagli odiati Polacchi. Il Trattato di Pereeslav (1654) sancì il passaggio alla Russia delle terre cosacche ucraine. Queste terre vennero chiamate dai Russi “Piccola Russia” ed i suoi abitanti “piccoli russi”. Si trattava di una porzione assai piccola dell’attuale Ucraina. Nel corso del tempo, tra il 1654 e il 1017, gli Zar vi unirono i territori di Kiev, Poltava, Vinnytsya e Chernigov estendendo enormemente la regione che porta quel nome.
Ma come e quando nacque il nazionalismo ucraino? In via preliminare si tenga presente che nel periodo 1918-19, in cui Michail Bulgakov (1891-1940) nella città di Kiev ambientò il suo capolavoro La guardia bianca, nell’attuale capitale dell’Ucraina ancora metà degli abitanti erano russi etnici ed a seguire, in ordine quantitativo, c’erano Ebrei, ucrainofoni e Polacchi. Le campagne, invece, erano a maggioranza ucrainofone o, se si vuole, ucraine. Ne consegue che proprio in epoca sovietica sarebbe poi avvenuta l’ucrainizzazione della stessa Kiev e della sua regione.
Sembra ragionevole sul piano storico affermare che sia polacca e successiva al 1863 la responsabilità della spinta iniziale per creare un’identità ucraina tra gli abitanti prima definiti russini. Vale a dire, fallita la seconda insurrezione indipendentista nella parte di ex Polonia governata dalla Russia, intellettuali polacchi riparati in terre austro-ungariche ritennero opportuno e possibile effettuare un’azione di propaganda nazionalista nella periferia occidentale dell’Impero russo.
Nulla di strano: buona parte delle nazioni moderne sono frutto di riuscite “invenzioni” di settori culturali e politici[2]. L’iniziativa polacca riscosse l’approvazione austro-ungarica, tenuto conto dei problemi che avrebbe potuto creare al vicino rivale russo. In loco, con le buone e/o con le cattive cominciò a dare frutti la seminagione ideologica negli ambienti rurali prossimi ad apparire come ucraini.
E veniamo al 1917, inizio di un’epoca di Rivoluzione e caos anche nella regione detta Ucraina. Come rilevò la prof. Annie Lacroix-Riz (n. 1947)[3] già prima della Grande Guerra la Germania si interesso all’Ucraina in quanto fonte importante di carbone, ferro e di tante altre risorse minerali oltre che grande produttrice di grano e cereali vari. A differenza di quanto accadeva sul fronte occidentale, su quello orientale gli Imperi Centrali furono militarmente dominanti e nel 1918, col Trattato di Brest-Litovsk, imposero alla neobolscevica Mosca il riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina, su cui rapidamente misero le mani.
Dal 1918 al 1921 si ebbe quella che Lacroix-Riz definì “indipendenza folkloristica”, trattandosi di un periodo in cui l’Ucraina fu più un campo di battaglia tra nemici vari che non uno Stato indipendente. Nei territori austro-ungarici di lingua ucraina fu proclamata la Repubblica Nazionale dell’Ucraina Occidentale, mentre nell’area appartenuta all’Impero russo si scontrarono la Repubblica Popolare Ucraina con capitale Kiev e la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina con capitale Charkov. La Repubblica di Kiev fu riconosciuta dall’Impero tedesco che – come dianzi detto – ne impose il riconoscimento ai Bolscevichi nel trattato di Brest-Litovsk, e dal 1918 fu un centro operativo della c.d. Armata Bianca nella guerra civile russa.
Per farla breve, si succedettero varie guerre tra le diverse entità “propostesi” alla guida dell’Ucraina: Central’na Rada della Repubblica di Kiev, etmanato kievano di Pavlo Pavlo Petrovyč Skoropads’kyj (1873-1945) appoggiato, e poi “mollato”, dai Tedeschi, Direttorio di Symon Vasyl’ovyč Petljura (1879-1926), anarchici guidati da Nestor Ivanovič Makhno (1889-1934), “Bianchi” di Anton Ivanovič Denikin (1872-1947), truppe della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.
Il tutto terminò con la sconfitta degli indipendentisti ucraini, l’incorporazione dell’Ucraina occidentale alla Polonia, e la costituzione della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina nell’Unione Sovietica.
Quest’ultimo segmento di storia può essere denominato “guerra sovietico-polacca”. Orbene, a seguito del crollo degli Imperi Centrali e della Russia zarista era stata possibile la nascita della Repubblica di Polonia, fortemente nazionalista (ieri come oggi) e più antirussa che antibolscevica. Il progetto politico del suo primo Capo di Stato, il bellicoso Józef Klemens Pilsudski (1867-1935), puntava a creare una grande Polonia che restaurasse i fasti territoriali della Confederazione Polacco-Lituana. Conseguentemente le truppe polacche attaccarono l’Armata Rossa e nel 1919 penetrarono in Bielorussia e Galizia, per poi attaccare l’Ucraina nell’aprile 1920, impadronendosi di Kiev nel successivo mese di maggio. Il contrattacco dell’Armata Rossa respinse i Polacchi fino a Varsavia, ma né in Polonia ci fu una rivoluzione bolscevica né l’Armata Rossa riuscì a conquistare quella capitale, bensì dovette ripiegare sotto la controffensiva polacca.
Il risultato fu la Pace di Riga (1921) che pattuì l’annessione della Galizia e della Volinia alla Polonia e del restante territorio ucraino all’Ucraina Sovietica. Ma il Direttorio ucraino controllava ancora una parte di forze militari che nell’ottobre effettuarono una serie di incursioni nella zona centrale del paese, salvo poi essere annientate a novembre dalla famosa Armata a cavallo bolscevica. Con questo la guerra post-rivoluzioanria in Ucraina finiva davvero.
In virtù dell’azione di Lenin, Kaganovic e Stalin l’Ucraina fu strutturata come Repubblica vera e propria. Le attuali regioni orientali e meridionali di lingua russa (come Odessa) furono annesse all’Ucraina da Lenin nel 1922, e quelle occidentali (Galizia) lo furono ad opera di Stalin che le riprese alla Polonia in seguito agli accordi Ribbentrop-Molotov del 1939.
Sicuramente col senno di poi, ma anche col “senno di prima”, non si può certo considerare un colpo di genio di Stalin il fatto di essere riuscito ad ottenere a Yalta dagli Alleati – per avere più voti all’Assemblea Generale della costituenda ONU (poi istituita il 25 aprile 1945) – l’ammissione di Ucraina e Bielorussia come entità statuali distinte dall’Unione Sovietica. Gli sbagli prima o poi si pagano; o meglio, c’è sempre qualcuno a pagarli.
Infine nel 1954 Nikita Sergeevič Chruščëv (1894-1971) “generosamente” aggiunse all’Ucraina la Crimea, etnicamente russa.
Ai fini della creazione del nazionalismo ucraino l’uniatismo cattolico, travestito da Ortodossia, operò come supporto ideologico per la penetrazione austro-ungarica e tedesca. Evidenziava Lacroix-Riz che tra le due guerre mondiali l’Ucraina fu terreno di cooperazione tra la Germania nazista e il Vaticano, a cui si deve l’organizzazione di uno spionaggio militare attraverso i preti uniati, e ricordava che nel Concordato tra il Vaticano e il Reich (luglio 1933) uno dei suoi due articoli segreti stabiliva l’alleanza nella presa dell’Ucraina: occupazione e sfruttamento economico sarebbero spettati alla Germania, mentre il Vaticano avrebbe curato la “ricristianizzazione” cattolica della regione. È un caso che Stepan Andrijovič Bandera (1909-1959) ed alcuni dei suoi appartenessero all’Uniatismo cattolico?
Nel caos istituzionale che contrassegnò la fine dell’URSS l’Ucraina fu coinvolta i due referendum. Il primo, in data 17 marzo 1991, riguardava l’Unione Sovietica ed aveva come quesito:
Considerate necessario preservare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come una rinnovata federazione di repubbliche uguali e sovrane in cui saranno pienamente garantiti i diritti e la libertà dell’individuo di ogni nazionalità?
Prescindiamo dalla storia del difficile svolgimento di quella consultazione, e diciamo solo che in Ucraina i favorevoli furono ben 22.110.899, pari al 71,48%, e i contrari 8.820.089, pari al 28,52%. Quindi i nazionalisti erano una bella cifra ma niente affatto maggioritari./p>
Quando poi il 1° dicembre dello stesso anno – a conferma di come sia aleatorio fare affidamento sugli umori popolari – si tenne il referendum sull’indipendenza ucraina, voluto dagli ex gerarchi comunisti rapidamente riciclatisi come nazionalisti, alla faccia del precedente referendum di marzo sul mantenimento dell’URSS il risultato si ribaltò: a favore votarono in 28.804.071 su 31.891.742 (l’84,18% dei residenti), cioè il 90,32%.
L’ottusità ucraina nel trattare le popolazioni russofone del Donbass, provocandone la secessione, ha significato per il governo di Kiev la perdita di almeno il 20% del proprio PIL che veniva prodotto esattamente da quella regione. L’enorme quantità di aiuti finanziari e militari dall’Occidente al governo di Kiev non sono certo donazioni, ma prestiti che l’Ucraina in teoria dovrà restituire – o dovrebbe restituire ammesso che si riesca, tenuto conto dell’alto tasso di corruzione dei suoi uomini al potere e dello spreco di armi e munizioni che ne fanno le sue forze armate.
È probabile che l’Ucraina futura sarà molto più piccola dell’attuale, in quanto non si può escludere la perdita anche di Odessa e dell’accesso al Mar Nero; la Polonia (già in palpitante attesa) forse si impadronirà delle sue regioni occidentali e l’Ungheria della Transcarpazia; ergo, solo Dio sa come riuscirà a restituire l’enorme debito, altresì atteso che i suoi governanti (e le loro gentili signore) non fanno certo economie.
È riduttivo dire che la prima vittima della guerra sia la verità: lo è anche l’informazione, e l’autodenominato “mondo libero” non è un’eccezione. Piccola premessa per dire che nell’EU tutte le persone che contano sanno benissimo dello stato fallimentare dell’Ucraina, ma non se ne parla. Probabilmente perché ufficialmente dal febbraio del 2022 l’Ucraina “sta vincendo alla grande”. Meno male, perché se stava perdendo …
Tutti i soldi prestati a quel paese, insieme agli aiuti militari, oltre ad essere sottratti alle più elementari esigenze dei cloroformizzati popoli europei sono come gettati nella spazzatura, facendo la tara per quelli finiti direttamente nelle capaci e rapaci tasche di governanti, oligarchi ucraini e famiglie.
Pare che il 60% della popolazione viva al di sotto del minimo indispensabile per la sopravvivenza, e a detta del medesimo ministro ucraino per gli Affari Sociali la povertà tra il 2014 e il 2017 è passata dell’8 al 55%. Adesso sarà ancora peggio. La disinformazione europea non parla dei 2.500.000 circa Ucraini più intelligenti, e magari con appoggi famigliari, riparati direttamente in Russia (!) dove pare che non se la passino affatto male.
I beni di consumo fondamentali sono aumentati di oltre l’80%; il prezzo del gas dovrebbe essere aumentato di oltre il 40%. Comunque una volta tanto un politico ha mantenuto le promesse elettorali: fu Petro Oleksijovyč Porošenko (n. 1965) che una volta eletto Presidente annunciò che gli Ucraini avrebbero finalmente potuto “vivere in una maniera nuova”. Questo è poco ma sicuro, quand’anche non secondo i criteri di aspettativa degli interessati. A detta della rivista statunitense Forbes il maggior numero al mondo di nuovi ricchi sta proprio in Ucraina.
Già prima del conflitto almeno 6 milioni di Ucraini se ne erano andati all’estero in cerca di lavoro e molti di loro in Russia. Nell’autunno dell’anno scorso in Europa i profughi per motivi bellici erano circa 2.779.920. Se la tendenza dovesse continuare il governo di Kiev potrebbe trovarsi a corto anche di mobilitabili per il fronte; sempre che forniture di “carne da cannone” non vengano da Polonia e paesi baltici, i cui governi sembrano davvero desiderosi di organizzare questi invii di risorse umane.
Tiriamo le somme?
Torniamo al titolo di questo scritto: se si possa considerare “nazione” l’Ucraina. La Russia dice di no, e ne fornisce argomentazioni essenzialmente “ad uso esterno”, ma né Russi né Sovietici sono mai stati dei bravi propagandisti. Sotto questo profilo può essere interessante esaminare la posizione di Putin per come lui stesso l’ha esternata all’inizio dell’attuale conflitto. Il che significa fare la tara fra quanto risulti condivisibile e quanto no sul piano storico. Definirlo totalmente da rigettare è atteggiamento da lasciare ai russofobi, o di professione o recentemente arruolati ad hoc.
Vladimir Putin, nell’annuncio televisivo con cui riconobbe l’indipendenza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, effettuò una lunga disamina storica argomentando che l’Ucraina non è mai esistita come entità autonoma ma è sempre stata terra russa, ed aggiungendo che l’Ucraina attuale fu creata dai bolscevichi. Il corollario delle sue tesi è che Russi ed Ucraini costituirebbero “un solo popolo, un tutto unico”, e i due Paesi “lo stesso spazio storico e spirituale”.
In ordine al corollario la posizione di chi scrive non collima – nel suo infinitesimamente piccolo – con quanto sostenuto dal Presidente russo per i motivi esposti all’inizio di quest’articolo.
Sul fatto del “solo popolo” oggi come oggi diamo un giudizio negativo, mentre in epoca sovietica probabilmente saremmo stati d’accordo. Giudichiamo infatti una “trappola teorica” sostenere l’unicità di popolo, in quanto si tratta di un fenomeno storicamente condizionato: ieri magari esisteva, poi un po’ meno ed infine per nulla. La posizione di Putin implica una concezione astrattamente statica dei fenomeni sociali: si potrebbe dire di tipo nazionalistico classico, peraltro smentita dalla stessa realtà dell’attuale guerra che, più passa il tempo, sempre più si manifesta come conflitto fra popoli nemici.
Innegabilmente ci sono stati legami storici, culturali e politici tra Russia e Ucraina, ma ad un certo punto si è anche manifestata la spinta a che l’Ucraina nel suo insieme si muovesse come entità separata; separatezza la cui reale entità – almeno quantitativa – dovrebbe essere studiata sul campo con attenzione e senza finalità politiche.
Più che di identità di popoli si dovrebbe parlare solo di patrimonio storico comune il quale, tuttavia, può anche diventare oggetto di legittima ripulsa da parte ucraina e di una conseguente, ed altrettanto legittima, reazione indignata e ostile da parte russa.
Ad ogni modo, sarebbe manifestazione di ucrainofilia considerare quel paese una nazione unita e monolitica. Le regioni meridionali ed orientali del Paese sono, e sempre furono, più vicine alla Russia, non foss’altro che per essere entrate a far parte dell’Impero russo prima di quelle centro-occidentali. Su queste ultime rimane un punto interrogativo. Cioè in quanti si sentano Ucraini o Polacchi; come pure nella Transcarpazia in quanti si sentano Ungheresi o Ucraini. Ma questa non sarebbe una novità. In Europa occidentale di nazioni fasulle ci sono almeno Italia e Spagna, unite solo attorno alla Nazionale di calcio, ovvero in una sorta di “festa della Suburra”.
PIER FRANCESCO ZARCONE: TESTI DISPONIBILI SU AMAZON
[1] Discorso sulla servitù volontaria, Jaca Book, Milano 1979.
[2] Eric Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi. Programma, mito, realtà, Einaudi, Torino 2002; L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 2002.
[3] Docente di storia contemporanea all’Università di Parigi VII-Denis Diderot. Nel testo ci basiamo sull’intervista dal titolo C’è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all’angolo, pubblicata da https://www.marxismo-oggi.it.